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I 400m: La distribuzione dello sforzo di Carlo Vittori


E' quella particolare abilità ritmica di controllo che con­sente all'atleta di trovare e scegliere il più economico rapporto tra lunghezza e frequenza del passo per svilup­pare quella andatura che meglio riuscirà a mantenere invariata fino alla fine, e rea­lizzare così la più elevata velocità media.
Meglio commettere l'errore di affrontare la prima parte della gara con una velocità più bassa che alta, poiché a questo si può facilmente rimediare con una più veloce progressione, della seconda parte.
Una troppo elevata velocità iniziale, porta, invece, un più grande consumo della poten­te "miscela anaerobica alattacida e lattacida", con la grave conseguenza di river­sare nei muscoli, troppo pre­sto, una grande quantità di lattato che crea difficoltà al dinamismo del lavoro musco­lare, rendendo meno efficace la prosecuzione.
Per correre la seconda parte rimane ben poco carburante potente e la "miscela" si arricchisce di energia aerobi­ca a basso "numero di otta­ni" che le fibre lente, inesora­bilmente interessate, produ­cono. La velocità crolla visto­samente, l'atleta perde molto più di quanto ha guadagnato velocizzando la prima parte, rendendo folle e scriteriato il tentativo.
Quelli di ripartizione sono i peggiori errori che questo specialista può commettere poi­ché non solo rischiano di vanificare gl'impegni nell'al­lenamento, in conseguenza dei dubbi che l'inadeguato rendimento fanno sorgere sulla sua utilità ed efficacia, ma oltretutto comportano una così spiacevole sensazione di malessere generale, alla fine della gara, da lasciare dan­nose memorie per lungo tempo.
I motivi, quindi, per affronta­re e risolvere questo, proble­ma sono tanti e tutti impor­tanti per la loro incidenza diretta o indiretta sul rendi­mento. Il consiglio che mi sento di dare a coloro che volessero iniziare le esperien­ze sull'argomento, è quello di ipotizzare una ripartizione dello sforzo che preveda la percorrenza dei due tratti di 200 metri, in tempi all'incirca equivalenti. Ci sono stati illu­stri rappresentanti di questo indirizzo, come il campione olimpico del 1964 a Tokio Larrabe, è il primatista del mondo Reynolds, per ricordare i più importanti, con due parziali uguali, di 22,5 per il primo e di 21,6 circa, per il secondo.
II rilevamento del tempo ai 200 metri, non è, però, suffi­ciente perché non chiarisce la dinamica di sviluppo della velocità cosa, invece, molto importante e possibile da realizzare cronometrando il tempo ogni 100 metri.
Una ottimale impostazione ritmica della gara dovrebbe compor­tare un tempo differenziale, tra i primi ed i secondi 100 m. di circa 10 decimi. Così che un passaggio di 22"3, nei primi 200 m. scaturisce da due parziali di 11"6/10"7. Si realizzereb­bero comportamenti senz' altro più redditizi di quelli che dessero tempi di 11"2/11"1, in quanto favorirebbero il migliore sfruttamento della velocità e delle riserve ener­getiche muscolari.
Un avvio con impegno controllato e ridotto che prosegua in una accelerazione lunga e sfuma­ta, è da preferire all'altro più violento e veloce, poiché per­metterebbe di prolungare l'autonomia della riserva energetica "alattacida" ritar­dando e riducendo, verosi­milmente, l'attivazione del processo glicolitico, con gli ovvi vantaggi di un più lento accumulo di lattato.
Non si dimentichi che la maggior quantità di energia anaerobica "alattacida" viene consu­mata, da uno sprinter, pro­prio nella fase di accelerazio­ne, a causa del massiccio reclutamento di fibre, neces­sario per spostare rapida­mente la sua massa corpo­rea.
Una volta messosi in moto il costo energetico scen­de il rendimento cresce per la utilizzazione della forza "elastico-riflessa" che consente di recuperare e sfruttare, duran­te la spinta degli arti inferiori, parte dell'energia cinetica che la stessa muscolatura antigravitazionale ha accumulato nell' ammortizzazione.
La lunga progressione di velocità, le cui punte massime dovrebbero toccarsi dalla metà in poi del primo rettili­neo, permette di imboccare la seconda curva con un forte slancio, indispensabile per superare il momento delicato della gara.
Proprio verso i 250 metri dalla partenza l'atleta avverte il primo stato di difficoltà dovuto al disagio crescente, meglio superabile, se può avere percezione di una otti­male velocità e consapevolez­za di una ancora sufficiente autonomia. Affrontare l'ulti­mo sforzo con il vigore e la determinazione derivanti da queste concrete certezze e convinzioni, non può che ser­vire a superare la fatica.
A metà circa della seconda curva l'atleta deve riprendere le sue energie e profonderle goccia a goccia in passi più incisivi con spinte progressi­vamente più potenti e decise per mantenere la velocità via via che la fatica lattacidemica si fa sentire.
Lo sforzo inizia qui, per contrastare quanto vorrebbe opporsi all'efficace procedere dell'atleta, e finisce all'arrivo con il consumo del­l' ultima stilla della potente "benzina anaerobica". Contrariamente a quanto capiterebbe a quell' atleta che, avendo impostato troppo velocemente la prima parte, si troverebbe ben presto in riserva di miscela potente e in una situazione di grande sofferenza, mentre deve opporsi all'inevitabile marcata dimi­nuzione di velocità conse­guente all'apertura" del ser­batoio aerobico delle fibre lente reclutate.
Il progressivo impegno che l'atleta profonde, ad iniziare dalla seconda curva, deve consentirgli di realizzare, nel terzo 100 m. un tempo molto simile a quello del secondo; e nel quarto, uno pressoché uguale al primo, perché i tempi delle due metà possano equivalersi.
Una volta messosi in moto il costo energetico scen­de il rendimento cresce per la utilizzazione della forza "elastico-riflessa" che consente di recuperare e sfruttare, duran­te la spinta degli arti inferiori, parte dell'energia cinetica che la stessa muscolatura antigravitazionale ha accumulato nell' ammortizzazione.
La lunga progressione di velocità, le cui punte massime dovrebbero toccarsi dalla metà in poi del primo rettili­neo, permette di imboccare la seconda curva con un forte slancio, indispensabile per superare il momento delicato della gara.
Proprio verso i 250 metri dalla partenza l'atleta avverte il primo stato di difficoltà dovuto al disagio crescente, meglio superabile, se può avere percezione di una otti­male velocità e consapevolez­za di una ancora sufficiente autonomia. Affrontare l'ulti­mo sforzo con il vigore e la determinazione derivanti da queste concrete certezze e convinzioni, non può che ser­vire a superare la fatica.
A metà circa della seconda curva l'atleta deve riprendere le sue energie e profonderle goccia a goccia in passi più incisivi con spinte progressi­vamente più potenti e decise per mantenere la velocità via via che la fatica lattacidemica si fa sentire.
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